Nel settembre 2021 A.la.t.Ha. approda nella città di Torino, per svolgere un servizio di trasporto sociale a chiamata per conto del Comune. Per prima cosa, abbiamo iniziato a prendere contatti con gli utenti aventi diritto, conoscendo persone speciali e altruiste appartenenti alle associazioni torinesi, che da tanti anni lottano per i diritti delle persone con disabilità e, in particolare, per l’indipendenza e la mobilità.

Tra queste persone abbiamo incontrato Antonio, attivista da diversi anni, al quale abbiamo chiesto di raccontarci la sua storia.

Ciao Antonio, innanzitutto grazie per condividere la tua storia con noi, siamo tutti orecchie.

Sono nato nel 1974, quindi ho compiuto 49 anni da poco, e mi trovo in condizione di disabilità dall’età di 3 anni e mezzo. Ero molto piccolo quando a causa di un incidente domestico, in occasione di un trasloco da Roma a Torino, un mobile, non fissato come avrebbe dovuto, mi è caduto addosso causandomi una lesione midollare cervicale.

Questo evento ha comportato l’impossibilità di controllare gli arti inferiori e in gran parte quelli superiori, così come la compromissione di altre funzioni.

Il fatto di essere così piccolo quando è intervenuta la lesione midollare, ed essendo anni in cui la medicina era meno avanzata, ha comportato che come non mai nella mia vita siano stati importanti i genitori, la famiglia e il sostegno di molte persone, senza le quali la mia crescita avrebbe avuto ripercussioni peggiori.

Io sono sempre stato molto grato ai miei genitori, per il modo in cui mi hanno cresciuto e amato, e anche per avermi sostenuto nel mio bisogno crescente di autonomia.

Fondamentale per il mio sviluppo è stata la partecipazione a tutto quello che facevano i miei coetanei, scontrandomi anche con sistemi che all’epoca non erano accessibili: le scuole che ho frequentato, per esempio, hanno subito cambiamenti per garantirne l’accessibilità solo dopo l’intervento dei miei genitori.

Durante il mio percorso di crescita, ho dovuto iniziare a fare io quello che i miei genitori hanno fatto per me prima, soprattutto lottare per la mia autonomia, andando incontro a tante disillusioni e partecipando, di conseguenza, a “battaglie” e rivendicazioni sociali.

Me ne sono accorto una volta approdato in Università, per me il tempio della cultura: le lezioni erano sovraffollate e la prima in assoluto che ho frequentato veniva svolta al piano inferiore di una chiesa senza ascensore. Lì è iniziato il mio mestiere di “rompiscatole”.

In quell’occasione trovando l’aula inaccessibile ho trovato ragazzi che mi hanno portato su e giù per seguire il corso. Successivamente mi sono messo in contatto con un collettivo in Università e ho iniziato a muovermi politicamente: ho anche eseguito una piccola indagine per capire quante persone con disabilità erano iscritte ma non frequentavano i corsi a causa dell’inaccessibilità delle strutture.

Cos’è cambiato da quando eri piccolo?

Adesso spero almeno che a Torino non esistano scuole dell’obbligo non accessibili. Però continuo a leggere sui giornali che diversi studenti con disabilità non sono potuti andare in gita perché nessuno ha pensato che potessero avere esigenze di un certo tipo. I cambiamenti ci sono stati, ma con tante contraddizioni ancora aperte: è un processo molto lungo.

Raccontaci del tuo attivismo in ambito mobilità/accessibilità.

Come accennato prima, ho sempre avuto una vita piena di socialità e mio padre è sempre stato disponibile ad accompagnarmi ai luoghi d’incontro con i miei amici e compagni: quando ho saputo che avevano reso accessibile qualche linea di pullman credo di essere stato uno dei primi a sperimentarli e per me è stata una conquista di libertà e autonomia.

È molto importante la mobilità legata all’autonomia e alla partecipazione alla vita.

Dai 18 anni ho iniziato ad utilizzare il servizio Taxi per persone con disabilità che a Torino c’era già nel 1978: non veniva erogato per uno scopo ben preciso, come poteva essere il trasporto scolastico, ma consisteva in un servizio porta a porta che aveva una finalità lungimirante, e cioè offrire la possibilità a chi ha disabilità motorie e a chi è in carrozzina di andare dove vuole dalla mattina alla sera senza essere discriminato sulla finalità di spostamento.

Utilizzando questo servizio ho avuto la fortuna di incontrare tante persone più grandi di me che mi sono state da mentori e d’ispirazione e che hanno dedicato la propria vita all’autodeterminazione di tutti. Le vicende che portarono persone come Piergiorgio Maggiorotti e Roberto Tarditi a bloccare tram e pullman davanti al municipio per rivendicare il diritto alla mobilità, al lavoro, alla salute e alla vita indipendente sono raccontate nel libro “La rivolta delle carrozzine”, che vede i due autori protagonisti.

Piergiorgio e Roberto sono stati tra i primi ad affrontare il tema della privazione della libertà dovuta all’impossibilità di muoversi.

Posso fermamente asserire, che grazie all’incontro con queste persone, che hanno fatto dell’accessibilità una questione di vita anche per le generazioni future, mi sono avvicinato alle tematiche della libertà e alla vita indipendente.

In che cosa sei impegnato attualmente?

Sono sempre molto attivo sul fronte della mobilità. La tecnologia aiuta, ma i mezzi pubblici hanno ancora dei problemi. A Torino ultimamente si riscontrano situazioni di degrado, come la condizione della metro che, pur essendo recente, presenta ascensori spesso rotti e scale mobili guaste. I mezzi pubblici, inoltre, a volte sono troppo cari. Quello che cerchiamo di fare è avere un contatto continuo con le aziende di trasporti e le amministrazioni.

Secondo te ci sono persone che rinunciano ad uscire perché non conoscono le alternative al trasporto pubblico?

Forse si, pensate che solo per il servizio a chiamata che attualmente gestisce A.la.t.Ha. c’è una lista d’attesa fornita dal Comune di Torino bloccata. Ci sono persone che con il Covid hanno smesso di utilizzarlo e nessuno sa per quale motivo, se per scelta o impossibilità, ma senza formale rinuncia al servizio il loro posto non si libera per altre persone.

Che cosa diresti a chi ha poca fiducia in se stesso?

Il punto è che bisognerebbe convincersi e convincere che il problema non è il fatto che la persona è disabile o in carrozzina: il problema è che tutt’intorno il mondo fa finta di non vedere le situazioni particolari e le esigenze diverse da quelle della grande maggioranza.

Mi sento di dire che la condivisione è importante, io non sentivo i miei compagni diversi da me e forse loro hanno imparato che io non ero così diverso da loro.

Una persona con disabilità non deve pensare “io sono sbagliato”. La società è quello che è: per quanti passi si siano fatti in avanti, una persona con disabilità viene ancora considerata come un oggetto un po’ strano. Ma dobbiamo essere anche noi per primi a porgere la mano e a non accontentarci di quest’etichetta, perché poi magari diventa ancora più naturale per gli altri vederci come degli “oggetti strani”.

Per esempio, una cosa che mi viene in mente e che mi ha aiutato ad essere ciò che sono oggi è che insieme alla mia famiglia ho anche fatto lunghi viaggi, per niente semplici, come da Torino all’Olanda in pulmino, negli Stati Uniti, in Germania e in Sicilia, dove sono stato issato su una lettiga fino alla cima dell’Etna. Sono anche stato il primo studente con disabilità ad andare in Erasmus, a Colonia nel 1999.

Tutte queste cose hanno aumentato in me la consapevolezza che tutto può essere superato e che, con organizzazione, precauzione e gli strumenti giusti niente è inaccessibile.

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